
Albero della Vita “Wakwak“, Giacomo Agnetti
Secondo alcune versioni, l’albero della vita cresce in un’isola lontana, porta sui rami le teste dei figli di Adamo. Al sorgere del giorno e alla sera, esso grida “Wakwak“, e canta inni al Creatore. Secondo alte versioni, ha come frutti corpi di donna interi e i suoi richiami “wakwak” sono di cattivo auspicio. La leggenda è narrata nei “Libri delle meraviglie dell’India“, scritti nel X secolo, nei quali compare un albero i cui frutti, simili a zucche, hanno una certa rassomiglianza con il volto umano. La prima menzione che se ne conosca compare in una relazione cinese, T’ung-tien, di Tu Yu, da lui scritta dopo la sua prigionia (all’epoca della battaglia di Talas, nel 751) e un soggiorno presso gli Arabi. Il testo precisa con esattezza le proprie fonti: !Il re dei Ta-shih (gli Arabi) aveva inviato degli uomini che, saliti su un battello e presi con sè vestiti e viveri, si misero in mare. Dopo otto anni videro uno scoglio quadrato. Su questo scoglio vi era un albero i cui rami erano rossi e le foglie verdi. Sull’Albero era sbocciata una folla di bambini; erano lunghi da sei a sette pollici; quando vedevano gli uomini non parlavano, ma tutti potevano ridere e agitarsi. Mani, piedi e teste aderivano ai rami dell’albero. Quando gli uomini li staccavano e li coglievano, non appena erano fra le loro mani si seccavano e diventavano neri. Gli inviati ritornarono con un ramo di quest’albero che ora si trova nella residenza del re dei Ta-shih. Un’altra variante figura nel Kitab al-Haiyawan di al-Giahiz (859), in cui il wakwak produce animali e donne sospesi per i capelli. Queste ultime sono colorate e non smettono mai di dire “wakwak”
Tratto da Il Medioevo Fantastico, di Jurgis Baltrusaitis
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